Un cammino d’amore!
Note biografiche
Maria Aristea nasce ad Ancona il 5 novembre 1883, da papà Antonio, di famiglia benestante, uomo intelligente, istruito ma di carattere violento e arbitrario, e da mamma Nicolina, di famiglia modesta, analfabeta, con un carattere chiuso e di indole dura. È la prima bambina dopo 11 maschi, vive un’infanzia difficile, trascurata ed abbandonata a se stessa. Fra i primi ricordi rimarranno sempre impresse le scene dolorose che avvenivano in casa, il terrore per la figura maschile quasi la paralizzava, nonostante questo si mostra dolce e servizievole. All’età di sei anni inizia a frequentare il laboratorio di sartoria procurandosi del denaro per vestirsi. Il lavoro la rende una giovane forte e bella.
Nella vicina bottega conosce Igino Bernacchia, che sposerà, nonostante il parere contrario della famiglia di lui. Nella quotidianità vive la sua vocazione sponsale orientata e sostenuta da una carità che diventa forza imprescindibile di coesione interiore. Con coraggio testimonia le diverse dinamiche di coppia: ascolto, accoglienza, comunione, tenerezza e solidarietà, nonostante le tante umiliazioni del marito, che l’apostrofava “carogna, fetente e mummia”. Annota sul suo diario: «Ogni volta che rincasava non appena si percepiva il rumore delle chiavi nella serratura, mi dovevo precipitare ad incontrarlo giuliva ed a ripetere gioviale: Gino! Gino! – qualunque fosse stato il suo umore, il suo volto… le sue intenzioni, altrimenti era guerra dichiarata». Al cuore della sua vocazione coniugale risiede la scoperta di una fede che pian piano diventerà il punto di forza della sua vita. Il suo stato di vita come laica, sposa e… madre – anche se non biologica – diventerà la “via preferenziale” per una santità del e nel quotidiano. Al marito un giorno come tanti altri, dopo averla maltrattata duramente, disse: «Tu invece per me sei tutto Gino mio! Tu mi sei padre, madre, fratello, e finanche confessore perché a te dico tutto, non nascondo nulla anzi tu sei per me lo stesso Gesù, perché dovunque sei tu che sei il mio sposo, io trovo Gesù!».
Nel 1948 il Signore ricompensa le lacrime e le preghiere di Maria Aristea con la conversione del marito Igino, che aveva ormai “sciupato” il suo matrimonio con l’infedeltà, le umiliazioni e le mortificazioni nei confronti della sua sposa.
Nel 1968 le condizioni di salute di Maria Aristea peggiorano, non potendo uscire di casa le persone cominciano a recarsi nella sua abitazione, per essere consolate e accompagnate spiritualmente con il suo materno aiuto. Riceve ogni giorno l’Eucarestia e il conforto spirituale dai religiosi Camilliani della vicina Parrocchia San Camillo, i quali le avevano trasmesso il carisma del loro fondatore. Maria Aristea ci insegna, nel suo stato di laica, sposa e madre il primato della carità, quale regola d’oro per vivere una vita santa. «Era animata da motivi soprannaturali […], in quanto non faceva distinzione di persone». Apprezzando le virtù, la dedizione e l’offerta della sua vita per l’Ordine, viene aggregata all’Ordine dei Ministri degli Infermi il 2 febbraio 1928. Muore il 24 dicembre 1971. «Ora devo andare… abbiamo finito di soffrire… non vi abbandonerò!».
Maternità spirituale
Un tratto importante che emerge dalla vita di Maria Aristea è il dono della “maternità spirituale”, seguendo e sostenendo coloro che frequentavano la parrocchia, le anime consacrate, in particolare i giovani in formazione. Maria Aristea è stata madre premurosa e attenta a quanti ricorrevano a lei, madre dei sacerdoti, madre dei poveri, madre dei sofferenti.
La chiamata alla maternità spirituale rimane poco conosciuta, poco compresa, poco vissuta, nonostante la sua fondamentale importanza nell’arco della storia. Benedetto XVI in una Catechesi del mercoledì evidenzia la fecondità di questo particolare dono e il beneficio che la Chiesa riceve dall’esercizio della maternità spirituale. E San Giovanni Paolo II nella Lettera alle Donne riconosce alla maternità spirituale un “valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società”. Lungo la storia della Chiesa, tante donne hanno alimentato nelle anime il pensiero di Dio, hanno sostenuto la fede della gente orientando la vita cristiana verso il Vero e Sommo Bene.
«La mia vita è una continua preghiera, un continuo offrirmi, anche nelle faccende, quando parlo sorrido; non li perdo un istante di vista… Gesù mio, Gesù mio, guardali Tu, perché se non saranno santi non potranno fare altri santi. Ah! Questi miei figli non potranno mai capire il mio amore, il mio amore, il mio dolore; è impossibile, mi toglie la vita! Essere io priva di tutto purché Dio conceda loro tutte le virtù, vorrei lavare con le mie lagrime ed il mio sangue le anime loro, le anime di tutti per renderle più care e preziose per il Signore. […] Che cosa mi costa il parlare, il seguire ore ed ore a parlare, Dio lo sa».
Discorso sull’amore per i figli spirituali (Camilliani) – 15/12/1931
Il primato della carità
La vita di Maria Aristea si allinea con il carisma del grande santo della carità, Camillo De Lellis. L’unione che vive con Dio si manifesta in un’accoglienza verso tutti: poveri, infermi e bisognosi. Era nata povera, era cresciuta povera e nell’indifferenza… e non poteva essere indifferente all’uomo che incontrava. Nel suo cammino di fede e di perfezione aveva compreso che Dio ama i poveri e di conseguenza ama coloro che si prendono cura di loro. Quando andava a visitarli, o venivano a trovarla, cercava di mettersi nella disposizione interiore di chi sapeva farsi tutto a tutti. Si rammaricava più volte fino alle lacrime per non poter soccorrere come avrebbe voluto le miserie di cui veniva a conoscenza, ed avrebbe desiderato essere tanto ricca per poter asciugare tante e tante lacrime. Ogni uomo, per Maria Aristea, era quel “prossimo” da curare, a cui fasciare le ferite e assistere. Così scrive nel suo diario: «Io fui veramente per bontà di Dio come il canale di tanto e tanto bene».
Possiamo definire Maria Aristea “una santa cristologica” perché tutta la sua vita è stata un tendere alla piena realizzazione del comandamento dell’amore secondo l’insegnamento di San Camillo: incontrare Cristo negli occhi e nei volti dell’uomo sofferente, povero e bisognoso.
L’ideale del matrimonio
«Diletto Igino. Non accogliere con noia, con stanchezza queste misere mie parole, il pensiero della loro sincerità, della loro passata e presente fedeltà ti sia di conforto e pazienza a sopportarle. È un cuore che dopo Dio te solo ha amato e amerà malgrado tutto il disprezzo, le cattive parole. […] il mio cuore che tu tanto hai disprezzato, un giorno non lontano quando avrà finito la salita al Calvario mi reclinerà il capo in segno di ubbidienza a Dio e di offerta per te; […] il mio cuore ti sarà come faro luminoso che passo passo ti indicherà il retto cammino; ti solleverà il cuore dalle false illusioni. […] Mio caro Igino, hai così giudicato male la tua povera Aristea che l’hai pure creduta capace di maledire. Sono uscite sempre dalle mie labbra buone parole. […] La tua povera Aristea con gioia ha offerto e offre l’intenso martirio, tutta la tortura del suo sensibilissimo cuore, le umilianti parole che riceve, il disprezzo, tutto ciò che può straziare una povera anima, ripeto, tutto, tutto offro a Dio Benedetto e per la sua salvezza per il tuo avvenire pieno di quella pace e serenità che solo Dio può e sa dare. Nascoste e silenziose lagrime e ferventi e fiduciose preghiere offro e depongo nel Cuore adorabile di Gesù per te, mio diletto Igino. La tua povera Aristea».
Lettera al marito Igino – Roma, 29/12/1923
Postulazione
Padre Walter Vinci, postulatore generale
Curia Generale Ministri degli Infermi
P.zza della Maddalena, 53 – 00186 Roma
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