LEGGO IL TESTO
Dal Vangelo secondo Giovanni 6,51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Liturgia della Parola: https://www.lachiesa.it/calendario/20240818.html
MI LASCIO ACCOMPAGNARE NELLA MEDITAZIONE
Siamo giunti al termine del lungo discorso sul Pane di vita, che ha scandito il passo di queste domeniche del tempo estivo.
La liturgia di questa domenica ci offre un’inedita prospettiva per concludere la riflessione sul mistero di un Dio così amante dell’uomo da voler essere suo nutrimento e sua sostanza, che possiamo sintetizzare con tre termine che prendiamo dalla liturgia della Parola di questa domenica: vivrete, inesperienza e rimanere.
Vivere
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Eppure, la reazione dei Giudei, che si mettono a «discutere aspramente fra loro» attorno a questa ardita affermazione, dovrebbe riuscire a turbare un po’ il nostro cuore: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (Gv 6,52).
L’atteggiamento dei Giudei può essere anche il nostro quando viviamo la celebrazione eucaristica come abitudine.
L’abitudine di celebrare ogni giorno e ogni domenica ha attenuato, impoverito, reso sterile il significato profondo che porta in se il vangelo di oggi. Se non mangiamo la carne del Figlio dell’uomo e non beviamo il suo sangue, non avremo in noi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (6,53-54).
Siamo davvero convinti che, se non mastichiamo la carne del Figlio dell’uomo e se non beviamo il suo sangue, non solo ci manca qualcosa, ma addirittura non siamo nulla?!
Inesperienza
Dobbiamo essere sinceri: siamo così tanto familiare con l’eucarestia, tanto familiari alla sua pratica, ma ancora così distanti da averne fatto un’esperienza gioiosa e indimenticabile. Ci annoiamo… basta osservare come viviamo le nostre celebrazioni eucaristiche. Per questo, spesso, nelle nostre assemblee domenicali ci raduniamo, ripetiamo in modo meccanico parole e gesti, ci sforziamo di fare ogni cosa con dignità e decoro, ma qualcosa continua a non funzionare. Mancano quei segni semplici ed eloquenti che accompagnano un bell’avvenimento: la contentezza dei volti, l’armonia delle voci, la soddisfazione dei cuori. Quello che invece si vede, ad esempio, in altre mense, decisamente meno importanti ma largamente più diffuse: un ristorante, un bar, un pub.
Le nostre celebrazioni invece difettano di autenticità: propongono più di quello che realmente offrono. Si candidano come l’occasione di entrare in comunione con il Dio vivente, mentre appaiono agli occhi del mondo come liturgie stanche, annoiate, prive di entusiasmo e di partecipazione.
Il problema, afferma il libro dei Proverbi, non è che siamo cattivi o infedeli. È che crediamo di sapere già tutto, mentre dovremmo tornare in chiesa ogni domenica per celebrare la nostra inesperienza: «Chi è inesperto venga qui!» (Pr 9,4).
Rimanere
«Chi mangia (lett. mastica) la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56).
Ecco ciò che accade quando ci nutriamo di Cristo: rimaniamo insieme, come indistruttibili amici, come intramontabili amanti. Questo accade ogni volta che accogliamo con fede il Pane di vita, anche nel sacramento dell’eucaristia. Il desiderio di Dio è infatti questo: rimanere in noi, dentro la nostra storia fatta di luci e ombre, sorrisi e sofferenze. Come un amico fedele, che vuole conoscere e condividere tutto quello che noi siamo e ci ritroviamo a essere. Rimanere insieme, del resto, è sufficiente a condurre ogni relazione a compimento, perché quando si sta uniti si diventa una cosa sola: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me» (Gv 6,57).
Questa è l’esperienza che ci manca e che sempre ci è donata: imparare a nutrirci di un Dio così bello da preoccuparsi maggiormente della nostra vivibilità che della sua visibilità. Sentirci così a nostro agio in lui e come lui da poter tornare a essere, per un mondo assai esperto di alimentazione, ma ignaro di risurrezione, il più struggente e appassionato degli inviti: «Gustate e vedete com’è buono il Signore» (Salmo responsoriale).
di Padre Walter Vinci MI
ESERCIZIO PER L’ANIMA
La messa: posso dire di sentirla o di celebrarla?
L’eucaristia: cosa vuol dire per me che Dio ci abita con tutta la sua vita?
Il regno: prevale in me la paura o la gioia di donare la vita?
PREGHIERA
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.
Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?
Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.
Sal 33