I “PERCHÈ?” DELLA DIMENSIONE NOTTURNA DELL’ESISTENZA
L’uomo è un ricercatore di senso: il domandare è essenziale per capire “chi è” e come possa collocarsi nel groviglio della vita. Si pone a tutte le età della vita, in maniera rispondente all’età e alle circostanze del momento. Anzi, a pensarci bene, spesso precede il nascere, come ricorda anche il vangelo: “chi sarà questo bambino?” (Lc 2,66).
Per capire “chi è il giovane”, occorre inserirlo nelle età che ha già attraversato e, per quel che si può intuire, anche in quelle che verranno dopo. L’esperienza umana ha sempre cercato di distinguere le varie fasi della vita. Uno schema che direi classico distingue: infanzia e fanciullezza, adolescenza, gioventù, l’uomo adulto e maturo, l’anziano…(R. Guardini Le età della vita”, Morcelliana, 1986, p.13).
Si noterà che l’età giovanile, in questo schema, si colloca al centro del cammino esistenziale. Perché di fatto in essa avviene il passaggio dall’essere “centrato su se stesso”, all’essere aperto all’altro, agli altri. Il che vuol dire che se prima il soggetto si chiedeva “Chi sono io?”, ora deve chiedersi anche “per chi sono io?”, quale posto occupo nella famiglia, nella società, nella chiesa?…Nella prima fase dell’esistenza – infanzia, fanciullezza, adolescenza – dovevo prendere in mano me stesso, capire la mia identità singolare. Ora, nell’età giovanile, devo inserirmi nella comunità umana e sociale.
E qui emergono con forza i numerosi interrogativi della vita. Kant li riassumeva nelle tre domande essenziali, quelle che fanno essere e crescere la persona umana: “che cosa posso conoscere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare”…Poi chiariva: la prima domanda nasce dalla “meraviglia” che apre alla conoscenza; la seconda porta ad acquisire il senso di responsabilità; e la terza suscita la fiducia, o meglio, la speranza. Con questi atteggiamenti sei equipaggiato per imbarcarti saggiamente nella vita.
La vita tuttavia, è come la luna: ha due facce: l’una è luminosa e chiara, e la vivi quando tutto va più o meno bene, e il giovane si sente “proiettato” nell’esistenza come un punto esclamativo (!)….Ma cosa succede se, mentre ti sei così slanciato nell’esistenza e hai cominciato anche a realizzare il tuo “progetto di vita”, vieni improvvisamente investito da una grave patologia e da un’altra simile sventura?…Ti senti bloccato nel tuo percorso, l’atmosfera si fa scura, non si capisce cosa stia succedendo. Hai la sensazione di essere “rigettato”, rifiutato dalla vita, dall’esistenza…
Quale senso hanno, in tale situazione, le tre domande di Kant che ti avevano aperto alla vita?…Ti pare di essere stato ingannato dalla vita. Per il credente la prova è più violenta, perché egli finora si fidava di Dio…E quello che accadde a Giobbe, prima amato e benedetto da Dio, poi si sente gettato nella miseria (10,4-13). Di qui i drammatici interrogativi: “Ecco il mio tormento: è mutata la destra di dell’Altissimo” (Sl 77,11)…Che ci sto a fare? Perché mi accade tutto questo e perché proprio a me e proprio ora?…Se la situazione drammatica permane e si aggrava, né si riesce a vedere un puntino luminoso di speranza, è facile cadere nello sconforto, se non nella disperazione.
Quale “pastorale della salute” in tali circostanze? Traccio uno “schema” o meglio, un abbozzo di schema che descriva in qualche modo la dimensione notturna dell’esistenza per poi passare a indicazioni di pastorale o di evangelizzazione: il “vangelo del dolore”: quale parola di Dio dinanzi a questo dramma…
- I molti volti del dolore umano:
il male della natura
il male responsabile
il male quotidiano
il malessere psichico e/o organico
le malattie
la morte e il morire
- Alcune risposte correnti ai gravi interrogativi:
fatalità, destino
responsabilità: gli altri, altro
ogni “risposta” è illusione, evasione dalla realtà,
accusare Dio e/o il Maligno
rassegnazione, indifferenza, atteggiamento stoico…
- Una proposta di fede cristiana: non è più opportuno ascoltare?…
coloro che soffrono;
quelli che lottano contro, soffrendo;
nella fede cristiana: ascoltare soprattutto:
Colui che, innocente, ha scelto di vivere la nostra condizione umana “fino alla fine”, condividendo… Non ha fornito alcuna “spiegazione” né vi si è “rassegnato”. Piuttosto si è impegnato contro la sofferenza; quando è divenuta inevitabile, l’ha accettata, l’ha attraversata e vissuta fino in fondo. Così la sofferenza ha “cambiato senso”…Come l’ha fatto?…
- Il vangelo della sofferenza: l’icona di Emmaus:
Cristo si è affiancato al nostro cammino, ha ascoltato le nostre delusioni e ci ha ri-narrato l’intervento salvifico di Dio. Quale vangelo ha rinarrato? Ha narrato la storia della salvezza.
5. Richiamo due testi rappresentativi
La liberazione dalla schiavitù egiziana (Es 3,1-10) e liberazione dalla malattia di Giobbe (42,2-6)
Nel primo, Dio si rivela come un “Dio per noi”. Nel secondo un Dio con noi.
Ma il momento risolutivo del dramma si ha nella venuta/incarnazione del Figlio di Dio, il quale “prende su di sé le nostre malattie,…le nostre infermità” (Mt 8,17):
- Il Dio di Gesù Cristo: “Uno di noi”:
Gesù è allo stesso tempo “l’uomo della gioia” e “l’uomo dei dolori”, che ha vissuto questa duplice condizione con il medesimo atteggiamento di “obbedienza amorosa al Padre” e di “solidarietà e misericordia” verso i fratelli. Per questo la “risposta” del Padre è la Risurrezione: “il Crocifisso è il Risorto!” Che senso hanno ora le nostre sofferenze?
- “La sofferenza umana è stata redenta” (Lettera apostolica sul senso cristiano del dolore: SD19.
- valutazione negativa della sofferenza, per cui è da “lottare contro”;
- tuttavia quando è inevitabile, non chiedersi solamente “perché? Quale ne è la causa?…” ma anche “che senso ha o può assumere questa situazione?” Come posso viverla in maniera evangelica, significativa? Come vi posso esercitare fede, amore, speranza?…
- Quando il male è “eccedente”, al di fuori di ogni nostro orizzonte di comprensione, e ci si chiede che senso possa avere, o come lo si debba vivere e sostenere, si fa più chiara l’importanza degli altri: solidarietà, prossimità, comunità, con-passione, …
- In queste circostanze, tuttavia, si chiarisce meglio il significato cristologico del nostro dolore: il nostro soffrire ora è un patire “con Cristo”, “in Cristo”, o meglio: “è Cristo che vive – soffre, patisce, spera, ama … – in noi” (Gal 2,20).
- Conclusione: in tal modo la sofferenza è vinta “dall’interno”, ossia vivendola e attraversandola “insieme con Cristo”, partecipando al suo atteggiamento oblativo di amore al Padre e di solidarietà e compassione verso i fratelli. Anch’essa, se vissuta “in-con Cristo”, come le altre situazioni e esperienze della vita, diviene un’opportunità positiva, “via alla gioia”, “via alla vita”, “travaglio del parto” della nuova vita (Rm 8, 16-30; Gv 16,21).