La formazione nella vita consacrata deve attingere la persona nella sua profondità e totalità. Partendo da questi presupposti capiamo le parole del Papa Francesco all’Unione dei Superiori Generali, nel novembre del 2013, quando ha affermato che la formazione è un’“opera artigianale e non poliziesca”. Di conseguenza, la sfida più grande è formare uomini e donne completi, maturi, capaci di assumere la vocazione come un dono e un servizio alla Chiesa e al popolo di Dio, persone che diventano segni di speranza nel mondo.
In una prospettiva positiva, si cercherà di presentare una breve panoramica della formazione alla vita consacrata, con i suoi problemi e le sue sfide, che tutti sappiamo enumerare e di cui conosciamo anche l’impatto sulla vita dei religiosi e di conseguenza, nella vita della Chiesa e del nostro Ordine. Secondo Francesco questo panorama deriva anche dalla cultura del nostro tempo, poiché “viviamo immersi nella cultura del frammento e del provvisorio”[1], cultura che interviene direttamente nella nostra forma di capire la Chiesa, la vita consacrata e il mondo, così come la forma in cui il mondo ci osserva e capisce.
Il documento Il dono della fedeltà, la gioia della perseveranza elaborato dal Dicasterio per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (DIVCSVA), all’inizio della prima parte, riflette sugli abbandoni della vita consacrata e ci invita a evitare uno sguardo miope e distratto. In questro senso, dobbiamo identificare cosa fare e quale strade prendere per discernire, prevenire e accompagnare, di fronte a processi di apoggio e di cura integrale, quelli che passano per periodi di difficoltà.[2]
In un altro documento, Per vini nuovi otri nuovi, la DIVCSVA presenta una riflessione che ci porta a pensare: “la frustrazione, a volte, porta l’abbandono come l’unica via di uscita per non soccombere”[3]. Si affronta l’uscita come unica alternativa per continuare ad essere fedele, soprattutto per la difficoltà, in sana coscienza, di vivere l’infedeltà all’opzione fondamentale e continuare dormendo tranquillamente.
L’appello di Dio non ci assolve dalla fragilità e dalla vulnerabilità. Consapevoli, cerchiamo in un determinato momento della nostra vita di rispondere alla nostra inquitudine vocazionale dando il meglio di noi stessi, come, per esempio, quando facciamo rinunce in virtù delle scelte le quali danno senso alla nostra vita e alla forma per superare le nostre fragilità, però rispondiamo a Lui come persone vulnerabili.Secondo il salesiano P. Ronaldo Zacharias[4] è necessario che ogni consacrato passi da un narcisismo perfezionista all’ abbandono a Dio come protagonista della nostra storia sostenendo la sua risposta vocazionale nella certezza che siamo chiamati da Dio, che partecipiamo per la grazia di questo amore, che Lui è la fonte della nostra identità e che ci dà la capacità di amare come Lui ama. In questo senso, come persone che hanno una vocazione, siamo continuamente provocati e abbiamo bisogno di lasciarci interpelare sistematicamente sulla nostra maniera di pensare, di volere e di agire.
Secondo Zacharias[5] è importante sapere dove camminare e per questo è necessario guardare unitariamente i quattro elementi che compongono la vita consacrata e/o sacerdotale bisognosi di appronfondimento nei nostri programmi formativi, tanto nella formazione iniziale quanto in quella permanente: 1. Il primato di Dio – consiste nel consegnare a Lui il nostro cuore, la nostra vita e le nostre forze, conformando i nostri sentimenti a Gesù. Questo umanizzerà la nostra vita personale, i nostri rapporti con gli altri e la nostra missione apostolica, facendoci ascoltare il grido dei malati. 2. Il servizio ai più bisognosi – consiste nel porsi nella Chiesa e nella società come pastori, donando la nostra vita di consacrati un tono concreto, camminare con coloro che soffrono, aiutandoli ad accogliere l’amore di Dio nella loro vita. 3. La fraternità di comunione – consiste nel passaggio dalla vita in comune alla comunione di vita, perché nessuno vive dove non c’è amore e dove non si sente amato. Quando le nostre relazioni sono formali e insignificanti, tendiamo a rifugiarci in un mondo privato e a cercare un compenso per ciò che sentiamo la mancanza.[6] 4. L’esperienza gioiosa dei consigli evangelici – consiste nell’esprimere che la testimonianza della sequela di Gesù si manifesta nella gioia di chi si è donato senza riserve e, quindi, può abbracciare liberamente l’obbedienza, la povertà e la castità e, nel nostro caso, la cura dei malati, anche a rischio della propria vita.
Pertanto, nel processo di formazione iniziale e permanente, questi punti devono necessariamente essere considerati, altrimenti diventano solo un ideale e non una realtà. Siamo e continueremo ad essere vasi di terracotta[7], tuttavia, a volte, c’è una mancanza di identificazione con il tesoro (carisma) che causa frustrazione. In altri, la fragilità del vaso impedisce di manifestare la ricchezza del tesoro. Perciò, lungo tutta la formazione, è essenziale comprendere la differenza tra avere una vocazione e vivere con una vocazione, perché che vive come vocazionato si sente continuamente chiamato da Dio, sperimentandolo nella storia, diventando contemplativo nell’azione.[8]
edeltà è la virtù essenziale di ogni rapporto interpersonale, la perseveranza è la virtù specifica del tempo: esse mettono in discussione il rapporto con l’altro” [9]. Questo binomio è presente nei testi del Magistero sulla vita consacrata, poiché “la perseveranza è una qualità indispensabile per la fedeltà”.[10] Pertanto, in una comunità veramente fraterna, ogni membro si sentirà corresponsabile della fedeltà dell’altro, sarà attento ai momenti di fatica, isolamento e di mancanza di motivazione del fratello, offrendo sostegno a quanti sono afflitti. Pertanto, è la comunità che sostiene la perseveranza dei suoi membri, essendo un sostegno alla fede e alla fedeltà.[11]
Fatte queste considerazioni, senza pretendere di aver esaurito ogni possibilità di riflessione, si passerà ad un secondo momento in cui verranno presentate quelle che consideriamo le maggiori sfide e problemi della formazione alla vita consacrata. Anche su questo tema presenteremo alcuni punti che riteniamo importanti per la riflessione, i quali rimangono aperti e dovrebbero essere trattati in momenti posteriori alla fine di questo Capitolo Generale, come l’Ordine dei Ministri degli Infermi, nelle nostre Province, Viceprovince, Delegazioni e Comunità.
Sfide, problemi e prospettive
Una prima e grande sfida è stata, è e sarà la vita comune[12] perché senza una buona vita fraterna nelle nostre comunità religiose ogni progetto di formazione nasce zoppo o fallito, poiché non si può parlare solo di comunità formatrici, ma di Province e di un’Ordine che siano formativi, concependo la vita comune come una schola amoris, perché nelle comunità formatrici è inutile che ci siano momenti di preghiera, ritiri e incontri se questo non è vissuto come valore e stile di vita da tutti i religiosi.
Nell’esortazione apostolica Christus vivit, Papa Francesco ci invita a creare una casa, intrecciando “legami che si costruiscono con gesti semplici e quotidiani che tutti possiamo realizzare. Una casa, tutti noi lo sappiamo molto bene, ha bisogno della collaborazione di tutti. Nessuno può essere indifferente o ignaro, poiché ciascuno è una pietra necessaria nella sua costruzione”[13]. In questo contesto, soprattutto noi, consacrati, siamo chiamati a formare comunità umane come luoghi di accoglienza, vere case[14].
Una seconda sfida del processo di formazione è la trasparenza, necessaria durante tutto il periodo di formazione e oltre. Temi come l’importanza dell’empatia, l’educazione alla verità, la conoscenza di sé, l’autonomia responsabile, il rispetto del nome e dell’onore degli altri, la trasparenza individuale e comunitaria, la riservatezza e la segretezza devono essere vissuti in modo che i tirocinanti sentano la sicurezza e l’autenticità del processo formativo.[15]
In questo senso, le nostre comunità devono fornire “un ambiente sano, affidabile, strutturato che fornisca assistenza, sicurezza e compagnia, un luogo che permetta ai tirocinanti di vivere le proprie ferite, menzionarle e iniziare a curarle”[16]. Pertanto, il formatore non può rimanere indifferente ai drammi dei tirocinanti, ma proporre un percorso pedagogico di superamento, affinché assumano la propria umanità con i propri limiti e capacità, lasciandosi condurre alla verità con fedeltà.[17]
Tale percorso implica apertura, capacità di dialogo e accoglienza[18]. Se il tirocinante non si rende conto che il formatore o il processo sono disposti ad accoglierlo, non sarà trasparente, iniziando a usare maschere, che potrebbero essere rivelate troppo tardi. Perciò è necessario allontanarsi da una formazione di massa e iniziare a considerare l’individualità, perché ogni studente è unico. Per questo, il seminario deve fornire spazi per l’espressione della soggettività di ogni individuo.
Una terza sfida è superare l’idea rispetto alla responsabilità della formazione la quale ricade solo su un formatore o un’équipe, poiché tutti dobbiamo partecipare “a questa attività con la testimonianza personale, la preghiera e l’evangelizzazione”[19]. La formazione di un’Ordine è responsabilità di tutti, poiché non esistono comunità formative, come abbiamo già indicato, senza che vi sia una struttura più ampia che dia una testimonianza basata sui valori della vita consacrata. Forse questo è il motivo della difficoltà di trovare religiosi per assumere tale missione. La sfida, quindi, è pensare al processo in modo più ampio, considerando la corresponsabilità di tutti.
In questo senso, dobbiamo tenere presente il modello antropologico che stiamo cercando di implementare nei nostri programmi di formazione. La risposta avrà forse delle conseguenze per il nostro modo di vivere come persone consacrate e di rispondere ai segni dei tempi. È un fatto che le caratteristiche di formatore “non si acquisiscono spontaneamente o inaspettatamente, ma attraverso un’attenta formazione”[20], che racchiude maturità umano-affettiva, spirituale, pastorale e carismatica.
Per questo è urgente avere religiosi formati e in formazione per esercitare questa funzione di servizio alla Chiesa e all’Ordine, “senza timore di ‘lasciare i grandi bisogni apostolici e le situazioni urgenti’ in cui le Province e le Delegazioni possono trovarsi ”[21], poiché questo è uno dei ministeri più delicati.
Una quarta sfida è l’urgenza di formare il cuore, poiché la necessità di una nuova cultura formativa della vita consacrata deve tener conto della dimensione umana della persona consacrata, come tema centrale sia nella formazione iniziale che in quella permanente. Quindi, secondo la Ratio Fundamentalis, la formazione umana è una dimensione essenziale, anche per l’evangelizzazione e la missione.[22] Pertanto, è essenziale pensare al processo formativo in modo integrato tra le diverse dimensioni.
A tal fine è necessario accostarsi a tutti i temi che toccano l’uomo: comprensione di Dio, sentimenti, paure, fantasmi, realtà che ci circonda, affettività e sessualità, mirando a formare il cuore da una dinamica di comunione che ha come modello Gesù Cristo, il Buon Pastore.[23] E noi, come suoi discepoli missionari, abbiamo la missione di vivere i gesti del Maestro e di tradurli nei diversi ambienti in cui viviamo.
Secondo Papa Francesco la formazione non può essere estranea alla sofferenza umana, quindi la formazione del cuore deve fornire ai candidati la conoscenza e l’esperienza delle proprie contingenze, bisogni, desideri, debolezze e ferite, essendo come argilla avvolta dall’amore del Signore.[24] È urgente, pertanto, pensare a una formazione del cuore che sia empatica e che guardi in modo integrale sia il candidato alla vita religiosa che i consacrati.
Una quinta sfida è l’urgenza di percorsi di formazione alla castità.[25] La Chiesa ha sofferto molto negli anni con gli scandali degli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili, una grande ferita nella vita ecclesiale. Perciò, fin dal processo formativo, si fa urgente e necessario creare una cultura della protezione e un percorso formativo che affronti le problematiche relative alla dimensione affettivo-sessuale, che la costituisce e l’accompagna dalla nascita alla morte. In questo modo, una persona affettivamente e sessualmente integrata sarà sicuramente più libera nel relazionarsi con le persone, con le strutture e anche con le cose.
Qui abbiamo una sfida che sta emergendo nei nostri programmi di formazione e, per questo, è necessario contare sull’aiuto di persone formate nell’area della psicologia e della sessualità. In primo luogo, per costruire percorsi formativi, ma anche per aiutarci con loro impianto. In una comunità formativa è il formatore a dare il tono all’accompagnamento, quindi l’importanza di formatori emotivamente e sessualmente integrati che favoriscono l’incontro con i professionisti, le letture e gli studi di comunità sull’argomento.
Una sesta sfida riguarda il modo in cui affrontiamo il potere e l’uso dei beni materiali. Su questo Gesù ci porta a riflettere nel senso di non accumulare tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine si corrodono,[26] perché quando Dio cessa di essere il centro della nostra consacrazione e del nostro ministero, altre realtà iniziano a prendere il Suo posto. Qui emergono i problemi del clericalismo, del carrierismo, dell’esibizionismo, dell’autoreferenzialità che uccidono la vocazione e si percepisce l’altro come un nemico anziché un confratello di percorso.
Pertanto, nel contesto formativo, è urgente far maturare ai giovani la loro soggettività nel più profondo delle loro coscienze, perché, a seconda del grado di narcisismo, esibizionismo e autoreferenzialità, possono avere grandi difficoltà ad amare in modo oblativo e nel rispettare la libertà altrui, senza la tentazione costante di sedurre tutti intorno a sè.[27] È urgente capire la vocazione come servizio[28] a Dio e alla Chiesa.
Oltre a queste sfide, ne abbiamo altre innumerevoli, presenti sia nell’accompagnamento vocazionale sia nelle case di formazione o nelle comunità religiose e che devono essere affrontate a livello di Ordine. Tale confronto è importante perché darà il tono delle future persone consacrate e, di conseguenza, della missione e del ministero camilliano nella Chiesa e nel mondo.
Nell’ accompagnamento vocazionale ci troviamo di fronte alla sfida delle vocazioni adulte; del clericalismo; laureati di uno, due o più seminari; di persone umanamente, psicologicamente e spiritualmente non strutturate; dei nuovi modelli familiari; di giovani legati a movimenti tradizionalisti, conservatori o al rinnovamento carismatico.
Nelle case di formazione e nelle case religiose c’è la sfida dell’esposizione sui social network; la presenza di ciberformatori; fragilità vocazionale e istituzionale; ateismo pratico… Oltre a questi, c’è anche l’esaurimento e la perdita di significato (burnout), che ha generato malattia collettiva e grande sofferenza psicologica, provocando uno stato di profonda angoscia, impotenza e abbandono, estraendo dalla persona la forza affettiva, generando gravi sintomi di depressione che influiscono sulla loro vita quotidiana. In Brasile, nel 2021, si sono suicidati più di 10 sacerdoti (religiosi e diocesani). Di fronte a questo fatto allarmante, come Chiesa e vita consacrata, non possiamo rimanere inerti e muti.
Conclusione
Tutta questa realtà presentata deve essere considerata quando si pensa ai nostri progetti di formazione, in quanto non funzionano separatamente o indipendentemente dalla struttura della Chiesa, dell’Ordine e delle Province. Perciò, questa riflessione è importante in un’aula capitolare, è necessario soffermarsi a riflettere sulla nostra forma di presenza come carisma nella Chiesa e nel mondo.
Il documento Per vino nuovo otri nuovi ricorda che i giovani non mancano di aspirazioni a valori genuini per i quali sono seriamente disposti a impegnarsi. È possibile riconoscere in loro un’apertura alla trascendenza, una capacità di innamorarsi delle cause della solidarietà, della giustizia e della libertà. Tuttavia, il documento rileva che “la vita religiosa, con il suo stile standardizzato, troppo spesso fuori dal contesto culturale oltre all’eccessivo impegno per la gestione delle opere rischia di non cogliere il desiderio più profondo dei giovani”[29].
Alla luce di questa constatazione della stessa DIVCSVA, portiamo alla riflessione una parabola di Theodore Wedel sulla Stazione Salvavita, che ci potrebbe avvertire molto bene rispetto al pericolo di irrilevanza:
“Su una costa pericolosa dove spesso si verificano naufragi, c’era una volta una piccola stazione di salvataggio. L’edificio era primitivo e c’era solo una barca, ma i membri della stazione di salvataggio erano impegnati e vegliavano costantemente sul mare. Quando una nave affondava, uscivano altruisticamente giorno e notte per salvare i perduti. Poiché così tante vite furono salvate da quella stazione, divenne famosa.
Di conseguenza, molte persone volevano essere associate alla stazione per dare il loro tempo, talento e denaro per sostenere il suo importante lavoro. Sono state acquistate nuove barche, sono stati reclutati nuovi equipaggi, è stata offerta una sessione di addestramento formale. Man mano che i membri della stazione di salvataggio crescevano, alcuni dei membri divennero scontenti del fatto che l’edificio fosse così primitivo e che l’attrezzatura fosse così obsoleta. Volevano un posto migliore per accogliere i sopravvissuti strappati dal mare. Così hanno sostituito i lettini di emergenza con i letti e hanno messo mobili migliori nell’edificio ampliato e recentemente decorato.
Ora la stazione di salvataggio è diventata un popolare luogo di ritrovo per i suoi membri. Si incontravano regolarmente e quando lo facevano era evidente come si amassero. Si salutavano, si abbracciavano e condividevano gli eventi che erano accaduti nelle loro vite. Ma ora un minor numero di membri era interessato ad andare in mare in missioni salvavita; così hanno assunto equipaggi di scialuppe di salvataggio per farlo per loro.
In questo periodo, una grande nave fece naufragio al largo della costa e gli equipaggi assunti portarono nella stazione salvavita carichi di persone fredde, bagnate, sporche, malate e mezzo annegate. Alcuni di loro avevano la pelle nera e altri avevano la pelle gialla. Alcuni sapevano parlare bene l’inglese e altri lo parlavano a malapena. Alcuni erano passeggeri di cabina di prima classe della nave e altri erano gli addetti al ponte.
Il bel luogo d’incontro è diventato un luogo di caos. I morbidi tappeti si sono sporcati. Alcuni dei mobili squisiti si sono graffiati. Così il comitato per la proprietà ha subito fatto costruire una doccia fuori casa dove poter ripulire le vittime del naufragio prima di entrare.
Alla riunione successiva ci fu una spaccatura nei membri. La maggior parte dei soci voleva interrompere le attività salvavita del club, poiché erano sgradevoli e ostacolavano la normale amicizia dei soci. Altri membri hanno insistito sul fatto che salvare vite fosse il loro scopo principale e hanno sottolineato che erano ancora chiamati una stazione di salvataggio. Ma alla fine sono stati respinti e gli è stato detto che se avessero voluto salvare la vita di tutti quei vari tipi di persone che sarebbero naufragate, avrebbero potuto iniziare la propria stazione di salvataggio lungo la costa. E sai cosa? Questo è quello che hanno fatto.
Con il passare degli anni, la nuova stazione subì gli stessi cambiamenti avvenuti nella vecchia. Si è evoluto in un luogo di incontro regolare per amicizia, per riunioni di comitato e per sessioni di addestramento speciali sulla loro missione, ma pochi si sono rivolti alle persone che stavano annegando. Le persone che stavano annegando non erano più accolte in quella nuova stazione di salvataggio. Quindi un’altra stazione di salvataggio è stata fondata più in basso lungo la costa. La storia ha continuato a ripetersi. E se visiti quel litorale oggi, troverai una serie di adeguati luoghi di incontro con ampio parcheggio e lussuosa moquette. I naufragi sono frequenti in quelle acque, ma la maggior parte delle persone annega”.[30]
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[1] Papa Francesco nel discorso ai partecipanti della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, 28 gennaio 2017.
[2] CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Il dono della fedeltà, la gioia della perseveranza: orientamenti. CNBB: Brasília, 2020, p. 18.
[3] CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA. Per vino nuovo otri nuovi. Vita Consacrata dal Concilio Vaticano II e le sfide ancora aperte. Orientamenti. São Paulo: Paulinas, 2017, n. 12b
[4] ZACHARIAS, Ronaldo. Fragilidade vocacional e institucional: da crise de credibilidade à fidelidade na fragilidade. In: TRANSFERETTI, J. A.; MILLEN, M. I.; ZACHARIAS, R. Formação desafios morais 2. Paulus, São Paulo, 2020, p. 75-76.
[5] Ibid., p. 77-80.
7 Cf. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (RFIS), n. 90c: «l’humus della vocazione al ministero sacerdotale è la comunità, poiché è da essa che proviene il seminarista, per essere nuovamente inviato a servirla, dopo l’ordinazione».
[7] Cf. Jr, 18,4; 2Cor 4,7.
[8] ZACHARIAS, Ronaldo. Fragilidade vocacional e institucional: da crise de credibilidade à fidelidade na fragilidade, 2020, p. 83.
[9] CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, 2020, p. 31.
[10] Ibid., p. 37.
[11] Cf. CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA. La vita fraterna in comunità: Congregavit nos in unum Christi amor. Roma, 2 febbraio 1994.
[12] Decreto Perfectae Caritatis, n.15.
[13] FRANCISCO. Exortação apostólica pós-sinodal: Christus vivit: para os jovens e para todo o povo de Deus. Paulus: São Paulo, 2019, p. 86, n. 217.
[14] Si consiglia la lettura dell’articolo del Cardinale Ratzinger, febbraio 1990 – “Il seminario non è un hotel, ma una casa”.
[15] COELHO, Mário Marcelo. Confidencialidade e transparência: a responsabilidade e o compromisso com a verdade. In: TRANSFERETTI, J. A.; MILLEN, M. I.; ZACHARIAS, R. Formação desafios morais. Paulus, São Paulo, 2018, p. 50.
[16] Ibid., p. 63.
[17] TRANSFERETTI, José Antonio. O papel dos formadores na formação: para além da mera formalidade e aparência. In: TRANSFERETTI, J. A.; MILLEN, M. I.; ZACHARIAS, R. Formação desafios morais 2. Paulus, São Paulo, 2020, p. 147-158.
[18] Questo cammino di dialogo può essere illuminato dal passaggio dei discepoli sulla via di Emmaus (Lc 24,13-35). Gesù ascolta, accompagna, parla, avverte, presenta un cammino, guida e, alla fine, permette ai discepoli di fare la scelta in modo libero e consapevole.
[19] Costituzione, n. 71.
[20]Regolamento di Formazione dell’ Ordine dei Ministri degli Infermi, n. 41.
[21] Ibid., n. 37.
[22] Cf. RFIS, 97.
[23] Cf. Jo 10,1-18.
[24] CARVALHO, Humberto Robson de. A urgência de formar o coração. In. VEIGA, A. C. da; ZACHARIAS, R. Igreja e escândalos sexuais: por uma nova cultura formativa. Paulus, São Paulo, 2019, p. 150
[25] FARIA, Michel Dutra de. A urgência de itinerários de formação para a castidade. In. VEIGA, A. C. da; ZACHARIAS, R. Igreja e escândalos sexuais: por uma nova cultura formativa. Paulus, São Paulo, 2019, p. 275-292.
[26] Cf. Mt 6,19
[27] ALMEIDA, André Luiz Boccato de. Exibicionismo narcisista e autorreferencialidade: o risco pecaminoso da idolatria de si mesmo. In: TRANSFERETTI, J. A.; MILLEN, M. I. de C.; ZACHARIAS, R. Formação desafios morais 2. Paulus, São Paulo, 2020, p. 263-284.
[28] Cf. Gv 13, 1-20 – il gesto della lavanda ai piedi come la più grande espressione del donare e del servizio – “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. (Gv 13, 1-15)
[29] CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA. Per vino nuovo otri nuovi. Vita Consacrata dal Concilio Vaticano II e le sfide ancora aperte. Orientamenti. São Paulo: Paulinas, 2017, n. 12c
[30] N.T.- Thomas Wedel, “Ecumenical Review”, ottobre 1953, parafrasato in Heaven Bound Living, Knofel Stanton, Standard, 1989, pp. 99-101